La famiglia tossica
Il dolore profondo che non riesci a raccontare.
Violenza psicologica e mobbing
Il dolore profondo che non riesci a raccontare.
Violenza psicologica e mobbing
Maltrattare un essere umano corrisponde ad “uccidergli l’Anima”.
Non occorre solo un’arma fisica, la lingua taglia in profondità quanto una lama affilata.
In tanti anni di attività ho ricevuto numerose richieste di aiuto per temi impegnativi e delicati come i legami familiari distruttivi, disfunzionali e dolorosi.
Il fatto di possedere un titolo giurisprudenziale e di essermi occupata di queste situazioni durante la mia esperienza forense, ha permesso di creare un rapporto di estrema fiducia con le persone, e allo stesso tempo ho potuto affinare le mie competenze per aiutare chi soffre in caso di maltrattamenti e forme di manipolazione tra le mura domestiche.
Ho avuto l’opportunità di vedere le cose da più angolazioni, non solo tecnico-giuridiche, ma anche umane, psicologiche, emotive e spirituali.
Le conoscenze dei diritti umani dirigono verso la consapevolezza di Se. Comprenderne i precetti e significati ha permesso alle persone di avere una percezione nuova di se stessi e delle proprie scelte di vita.
Il diritto studia il fatto umano nel bene e nel male, inoltre fornisce tutti gli strumenti di azione su come esercitare la propria volontà e creatività nel mondo.
Davvero sono entusiasta di come l’aspetto giuridico, inteso bene, possa trasformare le intenzioni e cambiare le decisioni.
Questa è la prova che non c’è un solo sapere per crescere, ma tutti contribuiscono alla realizzazione umana, considerando che la giurisprudenza è proprio quella che consente l’espressione di sé attraverso l’esercizio dei diritti fondamentali.
“Senza diritti non c’è Anima che possa essere felice su questa terra”.
Ritornando al tema del Mobbing Familiare, in cui i diritti spesso sono schiacciati da abitudini, consuetudini e processi educativi non sempre ideali, l’esame obiettivo e soggettivo delle relazioni umane coinvolte, può eliminare l’angosciante credenza che la famiglia, disfunzionale e distruttiva, è necessariamente un triste destino da sopportare, sia dentro di sé che nel quotidiano.
Ciò che accade in una casa è difficile raccontarlo fuori, soprattutto se hai maturato l’idea che la colpa è sempre tua.
A volte, pur essendo consapevole di ciò che accade, credi di non avere gli strumenti interiori per venirne fuori, oppure ti senti bloccato nell’aprirti perché fa troppo male e hai paura di affrontare le tue emozioni o i parenti.
Chi cresce o vive in un contesto fortemente repressivo delle velleità personali, pur possedendo le risorse per sviluppare la propria personalità, non ha modo di averne accesso, perché gli è stato insegnato ad annullare se stesso a vantaggio di chi è più forte.
In realtà non si tratta di chi è il più forte ma di chi ama di meno o non ama affatto, oppure conosce una forma di relazione umana “distorta” in cui l’amore si traduce in un necessario senso del dominio, che sempre amore NON è.
Questi sono alcuni dei tanti esempi in cui avviene l’annientamento e la sopraffazione. Parlo di genitori e figli, tra coniugi, tra fratelli e sorelle e tra i vari parenti.
Le liti familiari nei tribunali sono a livelli ingestibili. L’odio, la rabbia, la menzogna , il bisogno di distruggere l’altro, gli interessi economici, sono le componenti costanti che avvocati e giudici fanno fatica a contenere per l’elevato patos emozionale che scorre in quelle udienze.
Urla, pianti, parolacce, minacce, pugni tra persone dello stesso sangue o che hanno condiviso il letto, il pasto, gli stessi odori e sapori della vita insieme, sono il triste scenario umano a cui partecipavo scrivendo verbali di udienza in mezzo al caos.
A parte i casi estremi come questi e persino delittuosi, esistono nel quotidiano domestico forme verbali e non verbali di comportamento che uccidono dentro tanto quanto una spada affilata.
Ti parlo di offese ed odio micidiali a cui non riesci a rispondere perchè tu non sei come “loro”, e mi riferisco a quel QUALCOSA che NON È AMORE, né genitoriale, né maritale, né parentale. È semplicemente una condotta dolosa al fine di annientare il bersaglio, che spesso è una persona non solo differente negli schemi che adotta nella vita, ma spesso è quella che si rifiuta di ottemperare/soccombere alle dinamiche distruttive.
La violenza, purtroppo, va a braccetto con tutti gli elementi di una famiglia, nessuno ne è escluso.
Sono tantissime le persone che vivono in questo modo.
In silenzio piangono, recitano ogni giorno una parte in cui si sorride fuori per non mostrare la morte interiore e il senso di abbandono subìto proprio quando ne avevano più bisogno.
Spesso si ammalano rovinosamente, e in certi casi, senza più la possibilità di guarire.
Chi non si è sentito capito e riconosciuto nel suo valore, rischia di non avere più uno scopo, ed è qui che occorre intervenire per rimettere in carreggiata il ruolo che ha verso se stesso/a.
A seconda della fascia di età del soggetto, serve un aiuto diverso, che tenga conto di ciò che si può fare ancora, di ciò che è rimasto di quel dolore, per sollevare il carico pesante di chi si sente abbandonato e solo. Dalla persona più giovane all’anziano.
Aprirsi significa liberarsi da una prigione fredda e silenziosa, per ricostruire una vita di senso, nonostante fino a poco tempo prima, il desiderio di morte era l’unica via di evitamento dal dolore.
Elaborare gli eventi della propria storia, aiuta a ritrovare un nuovo modo di concepire se stessi, in modo del tutto autonomo rispetto a ciò che è capitato.
Il giusto distacco permette la fioritura di una nuova pagina da vivere, ed il supporto emotivo di un percorso diventa il ponte per accedere alla serenità.
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